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Il disagio dei ragazzi corre sul web. 100 richieste di aiuto in un weekend

E’ una cascata di messaggi quella che arriva nella chat. Cento solo in questo fine settimana. Con il contenuto che spesso si assomiglia, “Sto male”, “Sono preoccupata per la mia amica”, “Ho un problema”, “è urgente”. Sono queste le frasi che si ripetono, segno di un malessere e di un dolore che dilagano fra gli adolescenti. E che la Fondazione Charlie Telefono Amico riceve e accoglie giornalmente. Sono le emozioni dei ragazzi che scrivono soprattutto su whatsapp, ma anche dei genitori che invece preferiscono il contatto telefonico e che arrivano, sempre in forma anonima agli operatori volontari di Charlie.

I segnali

L’ansia, la paura, l’inadeguatezza e la solitudine sono lo specchio in cui si guardano e che cercano di condividere. “Perché le persone sono forti ma i problemi possono protrarsi nel tempo e il momento di sconforto capita”, spiega Marco Amidei, responsabile del servizio. E allora si sommano le chiamate di chi chiede di non essere lasciato solo ad affrontare macigni che possono affogare la quotidianità. E se il disagio giovanile cresce diffondendosi nelle forme del bullismo, del cyberbullismo, dei fenomeni di Neet (ragazzi che non studiano né lavorano né ricevono una formazione) e hikikomori, di cui non a caso, insieme ad un approfondimento delle tematiche legate alla salute psichica e ai disturbi adolescenziali, si parlerà nei due eventi organizzati della fondazione Charlie. Più in generale sono tanti i ragazzi che non dormono, che hanno paura di fallire, hanno crisi d’ansia e pensano di non farcela. Lo scenario è complesso. L’ammissione di soffrire, anche solo per messaggio, è però un primo passo, perché può far suonare un campanello di allarme che apre percorsi di aiuto e di sostegno.

I motivi

“quando le persone ci contattano – aggiunge Amidei – raccontano aneddoti o stati d’animo nella misura in cui vogliono farlo. Non è detto neppure che abbiano identificato i motivi della propria crisi. A volte è l’operatore stesso che presuppone una situazione, in base alle frasi interrotte, alle mezze parole. Ma intanto è un inizio, un primo approccio, un atto di coraggio. E noi ascoltiamo, mettiamo a proprio agio l’utente, non giudichiamo. Perché non ci sono mai ricette semplici da dare”

C’è il ragazzo che chiama perché non si sente capito dagli adulti che ha vicino, chi lo fa perché l’amico, che sa essere angosciato, non gli risponde immediatamente sul web e questo silenzio lo allarma o perché non riesce a calmarsi e ha bisogno di una voce rassicurante.

C’è chi magari vivendo la separazione dei genitori, un lutto, una storia d’amore finita male, si giudica diverso, non accettato dai coetanei e soccombe sotto il peso della conformità. Ci sono poi quelli che metto in atto comportamenti a rischio che li portano ad essere vulnerabili e a volte facilmente adescabili. E quelli che si stanno allontanando gradualmente dalla vita sociale e con la scusa di un mal di pancia smettono di andare a basket o a calcio, ma anche di uscire con gli amici.

Isolamento

Inizia così la reclusione nella propria stanza con solo il computer a fare da tramite con il mondo esterno. Lo step successivo è l’abbandono della scuola. Sono gli hikikomori, termine giapponese che letteralmente significa “stare in disparte”. In Italia si contano circa 100 mila casi, e anche Charlie ha risposto a qualcuno di loro. “Ma abbiamo parlato anche con i genitori di questi ragazzi che, accorgendosi della situazione – sottolinea il responsabile – avevano necessità di informazioni, di supporto ma anche un’esigenza di sfogarsi. Perché la fragilità non è solo degli adolescenti. Ad isolarsi sono pure le famiglie. Di fatto i disagi giovanili sono gli effetti che si toccano con mano di altrettante cause che invece andrebbero analizzate ben più a fondo. Altre volte invece sono i ragazzi ad essere in ansia per i genitori. A contattarci per esporre questioni che riguardano i padri, le madri o i fratelli e le sorelle”. E le loro domande possono essere contorte ma anche sofisticate. Si interrogano sullo scopo dell’esistenza, con fretta di ricevere risposte e gravità. Perché i fattori di difficoltà sono tanti e vari. “La disgregazione delle famiglie – elenca Amidei – la scarsa autonomia che riconosciamo ai figli, non ritenendoli più in grado nemmeno di andare a scuola da soli. E i ragazzi si ritrovano a passare molte più ore di prima in casa, davanti a videogiochi che richiedono ritmi velocissimi, in un mondo super competitivo dove si utilizzano parole della tecnica e dell’economia per tutto. Si dice investire nella scuola, nella cultura, negli affetti, ma poi si semplifica qualsiasi concetto. Utilizziamo un linguaggio povero che si lega alla povertà del pensiero”

La famiglia

Un circolo vizioso in cui può emergere una problematica che però non è mai del singolo ma dell’intero quadro familiare. “Ecco che anche i genitori hanno bisogno di comprendere perché non è mai facile cogliere i segnali del disagio – conclude Francesca Barberi, coordinatrice eventi e comunicazione della Fondazione Charlie – rendersi conto in tempo, non sottovalutare o sottostimare la situazione e decifrare correttamente i segnai di sofferenza prima che sia troppo tardi. Senza dimenticare che tutto cambia velocemente. Pensiamo al fenomeno del bullismo, tanto per fare un esempio. Prima avveniva tra pari, tra ragazzi che avevano la stessa età. Adesso per estensione, assistiamo a episodi di violenza che un gruppetto di bulli mettono in atto ai danni di una vittima. E c’è di più, perché la vittima può essere anche adulta e ricoprire un ruolo di autorità, come un insegnante o un autista, oltrepassando limiti di rispetto che fino a poco tempo fa sembravano invalicabili”

Paola Silvi

Il Tirreno 25 ottobre 2023

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