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Non c’è nella mia vita, come in quella di molte altre persone che stanno vivendo il disagio di questo periodo di isolamento sociale, un vero e proprio motivo di ansia.
Né per la paura di contrarre il coronavirus, né, fortunatamente a livello economico (per ora ce la caviamo), tuttavia mi rendo conto di comportarmi da persona ansiosa, e mi chiedo il perché.
La spiegazione che mi sono data è che all’interno di questa bolla irreale in cui stiamo vivendo da oltre un mese, la realtà e la percezione del reale non coincidono più. Si vive in uno stato di sospensione. Come il prolungato attraversamento di un ponte che collega un mondo a cui eravamo abituati, ad un altro mondo che non abbiamo idea di come sarà. Il ricordo del vecchio mondo sta rapidamente sfumando, mano a mano che ci avviciniamo all’altra sponda, che continua a allontanarsi.
E in questo attraversamento surreale si perde il contatto con la realtà. La realtà che conoscevamo infatti non esiste più, questa è l’unica certezza, perché ancora non ci è dato di sapere da quale realtà alternativa sarà rimpiazzata.
Questo penso che sia l’aspetto più subdolo e disorientante di questa quarantena. La dimensione dell’ignoto, che abbiamo davanti, come prospettiva futura.
Non è paura, non è ansia, è una lenta inesorabile perdita di identità.
E se non sappiamo più chi siamo, come possiamo riuscire ad essere organizzati, efficienti, positivi e ottimisti?