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Quando tutto questo è cominciato, ammetto di aver provato un certo sollievo. Certo, essere rinchiusi in casa perché sta circolando un virus letale non è il massimo, ma l’ho vista comunque come un’occasione per spezzare il ritmo della quotidianità, che ultimamente era diventato un po’ troppo convulso e faticoso, e concedermi un po’ di riposo, ben giustificato. Un’opportunità per mettermi in pari con tutto ciò che per mancanza di tempo non riuscivo mai a fare: riordinare la casa, dipingere, finire quel romanzo cominciato da tempo, ecc…
Ciò che non avevo considerato, tuttavia, è il fardello psicologico che questo isolamento forzato avrebbe portato con sé, che è davvero difficile da ignorare. Questa reclusione forzata non è una vacanza, è una misura difesa contro un nemico subdolo e invisibile, che gli italiani hanno accettato con un lodevole senso civico, che un po’ mi ha anche sorpreso, lo ammetto.
Dal primo giorno ho cominciato a scrivere un diario della quarantena, sicura che sarebbe stato un’ottima distrazione e che lo avrei riempito di pensieri e riflessioni. Dopo poco però ho smesso di scrivere ed ho cominciato a riempirlo con ritagli di giornale, trasformandolo così in un triste, anonimo promemoria di quello che sta accadendo fuori da queste mura: la gente muore.
La cosa più difficile qui dentro è riuscire ad organizzare il tempo, scandire le giornate sulle cose da fare, le sane e buone abitudini da non perdere e un minimo di attività sociale (virtuale) necessaria per non sentirsi da soli alla deriva.
Il numero di messaggi, e telefonate ricevute quotidianamente è aumentato esponenzialmente. Mi hanno inserito in gruppi whatsapp in cui ci si da il buongiorno, la buonanotte e si scambiano sorrisi, vignette divertenti e cuoricini. Odio i gruppi di Whatsapp, ma come tirarsi indietro quando chi ti inserisce è un membro della famiglia o un caro amico, e lo fanno con la migliore delle intenzioni: scambiarsi amore e solidarietà? In breve però mi sono accorta che questa attività occupava tanto, troppo del mio tempo e così l’ho condensata in un sistematico copia-incolla di brevi messaggi rassicuranti e affettuosi, con il doveroso cuoricino finale.
Alle telefonate (mi chiama gente che non sentivo da oltre 20 anni) ormai non rispondo quasi più, perché mi innervosiscono le infinite ripetizioni di concetti scontati e luoghi comuni. Le videochiamate poi mi irritano ancora di più e le vivo come vere e proprie violazioni del mio spazio vitale. Trovo le videochiamate totalmente estranianti e disorientanti, ti guardi ma non ti vedi, e la maggior parte della gente (io compresa) guarda la propria immagine nel piccolo riquadro in alto a destra mentre parla con gli altri, pensando… oddio che brutta faccia che ho oggi!
Nell’insieme insomma mi sono accorta di comportarmi come prima, se non peggio di prima. L’atteggiamento mentale è identico: sento che mi manca il tempo, ma in questo caso posso incolpare soltanto me stessa. Non dovendo andare al lavoro, e non avendo più la necessità di spostarmi o di dedicare il mio tempo ad altri, l’unica da biasimare per questa disorganizzazione sono io, e forse lo ero anche prima, ma preferivo dare la colpa alle situazioni, agli impegni, agli altri.
Ci deve essere, in questo bizzarro periodo che stiamo vivendo, un meccanismo perverso che ruba il nostro tempo. Ho cercato di metterlo a fuoco, provando a pensare a cosa faccio di diverso rispetto a prima e a quanto tempo questo mi occupa.
Innanzitutto leggo le news. Un’attività che prima evitavo o svolgevo solo frettolosamente, mentre sorseggiavo il caffè la mattina, ora è diventata un’azione quasi ossessiva. Ogni giorno compro il giornale (così faccio una passeggiata fino all’edicola) e lo leggo tutto, a parte la pagina sportiva di cui continua a non fregarmene niente. Mi soffermo sulle pagine che riportano i tragici eventi da tutto il mondo, e leggo fino all’ultima riga i commenti dei vari opinionisti, le cui parole spesso non condivido affatto. Mi sforzo di comprendere i meccanismi che regolano le misure economiche proposte per affrontare la crisi che verrà. Mi indigno per l’ottusità di chi continua sempre e solo a fare campagna elettorale e a spargere odio, anche in questo periodo di sospensione di tutto, in cui la solidarietà sembrerebbe la più logica e umana delle conseguenze.
Poi preparo il pane, rinfrescando la pasta madre, visto che il lievito di birra è introvabile e non posso fare ore di coda solo per una pagnotta. Passo molto tempo a ricercare su Internet nuove ricette interessanti e sane, e a cucinare pasti gustosi per allietare la famiglia (si mangia tutti troppo).
Vado a letto sempre più tardi, anche quando non faccio niente, e questo inesorabile processo di slittamento in avanti delle giornate ha gradualmente ridotto la durata delle mie mattine, che ormai, quando va bene, sono al massimo di 2-3 ore.
E così, in questa atmosfera da deja-vu, che ricorda i film di Zombie, in cui gradualmente abbiamo cominciato a chiederci che senso ha la nostra vita, le giornate, identiche, scivolano via, nel nulla, e anche se capisco e condivido tutto, non posso fare a meno di pensare che questo tempo che ora ci stanno chiedendo, nessuno ce lo potrà mai restituire.