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Ascoltando la voce ed i racconti di chi chiama Charlie Telefono Amico si riesce ad avere una percezione piuttosto chiara della condizione emotiva dell’utente e ci accorgiamo spesso che le persone, di qualsiasi età, estrazione sociale, livello culturale, nazionalità o religione, molto spesso si sentono sole.
Sono sole perché non hanno fisicamente, concretamente, nessuno vicino a loro, perché manca una presenza su cui contare, un aiuto, un sostegno? Oppure sono sole perché si sentono mentalmente isolate, emotivamente distaccate dagli altri, perse in una sensazione di vuoto interiore?
E’ facilmente intuibile che chiunque decida di chiamare Charlie per confidarsi al telefono con una voce sconosciuta e anonima, in qualche modo si senta molto solo. Qualunque sia il problema per cui hanno deciso di chiamare e qualunque siano l’ età, il sesso o la condizione socio-economica, la scelta di questa particolare modalità comunicativa per parlare dei propri problemi personali è di per sé indice di profonda solitudine.
Abbiamo provato ad analizzare la percezione della solitudine attraverso le conversazioni che si svolgono al telefono amico: come si riconosce? come risuona nella mente degli operatori? che cosa trasmette? che tipo di emozioni e reazioni suscita?
Una prima riflessione ci ha spinto ad osservare che esistono vari tipi di solitudine, che abbiamo grossolanamente suddiviso in due macro categorie:
- solitudine consapevole
- solitudine inconsapevole.
Tra le forme di solitudine consapevole ci sono sia quella reale, oggettiva, data ad esempio dall’isolamento, dal senso di vuoto che circonda chi vive una condizione di malattia o di handicap, che quella mentale, che si manifesta, indipendentemente dal contesto sociale in cui si vive, quando una persona si sente sola poiché pur vivendo in famiglia o essendo circondata da persone e rapporti affettivi non sente che ci siano le circostanze giuste o l’interesse necessario per poter comunicare, per aprirsi, per poter essere se stessa.
Sono state identificate alcune forme di solitudine inconsapevole, come ad esempio quella di una giovane madre con figli piccoli che non ha il tempo né la possibilità di coltivare dei rapporti e che si ritrova a passare le giornate in casa da sola con i bambini, stanca e intrappolata dagli impegni domestici. Il marito non c’è mai, le amiche dopo un po’ sono sparite e lei non sa con chi parlare. Oppure quella di chi ha un carattere difficile, come ad esempio un individuo che reagisce rabbiosamente ai fatti della vita e che ha sviluppato una modalità aggressiva e negativa nei relazionarsi con gli altri, portando le persone intorno a lui ad evitarlo. In questo caso, mancando una percezione oggettiva della realtà, la persona tende ad accusare gli altri delle proprie sciagure, si sente incompresa e sceglie di esternare il proprio sentimento di solitudine attraverso una rabbia cieca, che genera frustrazione, mettendo in moto un ciclico loop emotivo.
Alcuni degli utenti che chiamano abitualmente Charlie hanno evidenti problemi di carattere psichiatrico, e sono profondamente soli. In questo caso non è facile capire se la loro solitudine, oggettiva e preponderante, è stata generata dalle difficoltà della malattia o viceversa, se le loro patologie psichiche sono la conseguenza di una terribile solitudine sofferta per troppo tempo.
Alcune strazianti condizioni di solitudine, comunicate nel corso di una conversazione telefonica, possono arrivare a toccare profondamente l’operatore, generando l’effetto di “una freccia conficcata nel petto” che è necessario riuscire a rimuovere prima di poter tornare alla propria vita. Oppure può accadere che le parole dell’utente trasmettano un senso di paura ed angoscia, solitamente causato dal trovarsi a pensare “in quella situazione domani potrei esserci anch’io”, che può restare addosso per giorni.
Rispondendo alle telefonate che arrivano a Charlie si entra in un contatto empatico con le persone, con i loro problemi e i loro stati d’animo. Si ascoltano le loro voci, si soppesano i silenzi, si sentono le emozioni, si percepiscono le paure, le insicurezze, il dolore. Non tutto viene codificato attraverso le parole, anche se le parole sono senza dubbio il veicolo principale. Anche il tono della voce, i respiri, le pause, sono elementi determinanti per la trasmissione e comprensione di uno stato d’animo, tanto quanto lo è la scelta delle parole che vengono usate per raccontarsi.
Ascoltando la voce di chi ci chiama, spesso si crea un contatto profondo, si apre un canale di comunicazione empatica che nel migliore dei casi può generare riflessioni personali del tipo “questa cosa potrebbe capitare anche a me” o “è esattamente come mi sento anche io”, e nel peggiore dei casi può mettere in moto reazioni emotive personali, suscitate dal carico emotivo ricevuto e che qualche volta può risultare davvero gravoso.
Charlie è un gruppo di persone molto diverse tra loro, unite da interessi comuni ma fondamentalmente unite da un forte desiderio di aiutare, di ascoltare, di mettersi in gioco. Persone che hanno in comune un atteggiamento aperto e accogliente nei confronti delle esperienze, della gente, della diversità. Persone che non giudicano, che sanno ascoltare e sanno aiutare gli altri ad aprirsi, a liberarsi, a lasciarsi andare. Persone che hanno voglia di crescere e che sanno molto bene che nella vita e dagli altri c’è sempre qualcosa da imparare. A Charlie non si giudica, non si formulano diagnosi, né si forniscono soluzioni ai problemi. Si ascolta, si parla e si condivide.
Sebbene la solitudine sia da sempre al primo posto tra i temi affrontati durante le conversazioni, accade raramente che gli utenti facciano riferimento ad una condizione di solitudine in modo esplicito. Più spesso questa condizione emotiva viene letta tra le righe, estrapolata dai loro silenzi, dai loro sospiri, dai racconti del loro quotidiano.
Tuttavia accade spesso che anche attraverso la scelta delle parole trapeli lo stato emotivo della persona che si sta raccontando, rivelando una condizione di profonda solitudine. Ne sono un chiaro esempio le formule di chiusura delle telefonate, i ringraziamenti che spesso vengono rivolti all’operatore alla fine di una conversazione. La gratitudine espressa appare talvolta eccessiva e le parole usate possono avere toni drammatici e suggeriscono l’idea che per quella persona il tempo e l’attenzione ricevuti rappresentino realmente un dono straordinario, a cui non sono abituati. E’ accaduto numerose volte che un utente abbia chiuso una conversazione dicendo all’operatore “sei il mio migliore amico”. L’effetto di certe parole può essere straziante, l’operatore si sente fiero di essere stato in grado di offrire qualcosa di speciale, ma l’eco della profonda solitudine con cui è entrato in contatto risuona nelle sue orecchie e nel suo cuore per giorni.
Con alcuni utenti è stato possibile approfondire il problema della solitudine, arrivando a darle un nome ed un volto.
In alcuni casi la solitudine è stata descritta come “un nemico subdolo e invisibile che si insinua nella vita silenziosamente fino ad avvinghiarti e soffocarti, come un serpente”.
Nella maggior parte dei casi il senso di solitudine origina dalla mancanza di contatti sociali adeguati, e dalla tristezza nel constatare che le persone ed i rapporti affettivi sono troppo superficiali, e non fanno che alimentare questo senso di vuoto interno che la persona prova.
I volontari di Charlie che dedicano regolarmente parte del loro tempo all’ascolto delle telefonate, spesso si trovano a dover affrontare le conseguenze delle conversazioni sostenute. Nella maggior parte dei casi queste risuonano a lungo nei loro pensieri, generando riflessioni e stati d’animo. “Capita di ripensare alle parole udite per giorni, alla ricerca di un modo diverso per rispondere a quel particolare utente, nuove formule più efficaci da usare, nel caso dovesse capitare di riparlarci”.
Ascoltare la voce di persone sconosciute, che si aprono e si confidano, che si mettono a nudo rivelando le proprie debolezze e paure, può in qualche caso portare a riflettere sui propri limiti, sui propri problemi. L’esperienza acquisita durante la formazione a Charlie aiuta non soltanto lo svolgimento delle conversazioni, ma stimola anche una maggiore fluidità di pensiero, un maggiore spirito di osservazione e di introspezione che quasi sempre si rivelano essere strumenti utili anche per la vita sociale, lavorativa e relazionale del volontario. Ciascuno ha notato miglioramenti nei proprio modo di relazionarsi con gli amici, con la famiglia, coi colleghi di lavoro, con gli estranei. Ma anche nell’affrontare le difficoltà, i problemi, i momenti difficili.
Rispondere al telefono e mettersi in modalità di ascolto non è soltanto un modo di aiutare gli altri, ma anche un esercizio di concentrazione, di empatia, di attenzione, di riconoscimento, di introspezione. Le difficoltà e i momenti critici non mancano e talvolta possono essere pesanti, tuttavia l’appartenenza ad un gruppo unito, pronto ad offrire sostegno e aperto alle condivisioni e agli approfondimenti, insieme al senso di gratitudine nei confronti di un contesto in grado di stimolare un continuo processo di crescita e che insegna ogni giorno qualcosa di nuovo, rendono l’esperienza di volontariato a Charlie un’occasione di apprendimento e di autoconsapevolezza davvero speciali.
E’ grazie all’esperienza a Charlie che alcuni volontari riconoscono di essere riusciti a superare i loro blocchi comunicativi, che li portavano ad operare delle selezioni tra le persone con cui relazionarsi, evitando di entrare in contatto con persone difficili, problematiche o con soggetti “ai margini della società”. Charlie insegna ad accogliere, ad ascoltare, a capire che si può imparare qualcosa di nuovo e di importante anche da chi è così tanto diverso da noi. E può accedere che anche chi prima ci faceva paura possa diventare un interlocutore interessante.
Provando a riflettere sugli aspetti maggiormente critici di un’esperienza particolare come quella del volontariato presso Charlie Telefono Amico emergono varie difficoltà legate a :
- smaltire il senso di pesantezza di certi contenuti e gestire il senso di frustrazione per non poter aiutare le persone
- timore di cadere in trappole di stereotipi e/o pregiudizi , soprattutto nel caso di conversazioni con utenti che chiamano abitualmente
- gestione del senso di responsabilità legato alle aspettative dell’utente che ti ha chiamato
- mantenere un certo distacco emotivo dalle problematiche che si ascoltano e dagli stati d’animo che si percepiscono, senza farsi risucchiare completamente nelle spirali emotive dell’utente
- difficoltà a gestire la conversazione quando ci si accorge che un utente è solo perché è scorbutico, polemico, aggressivo, rabbioso, o ha comunque un atteggiamento “respingente” nei confronti delle persone con cui si mette in relazione
- riuscire sempre ad acuire la propria capacità di ascolto, non dare niente per scontato in modo da mantenere un atteggiamento di apertura e continuare ad apprendere sempre qualcosa di nuovo
- scoprire i propri limiti, accorgersi delle proprie questioni irrisolte ed identificare le corde personali che vengono toccate, far fronte a reazioni emotive forti ed inaspettate
per quanto riguarda gli aspetti più gratificanti, anch’essi di vitale importanza:
- per tutti i volontari il punto di maggiore forza dell’esperienza a Charlie è rappresentato dall’energia del gruppo, il privilegio di appartenere a quella particolare collettività e la gioia di avere trovato un luogo aperto e accogliente come Charlie dove passare parte del proprio tempo
- la gioia di poter essere utile, di donare il proprio tempo.
- I ringraziamenti ricevuti alla fine delle telefonate
- Anche le situazioni in cui riagganciano subito il telefono fanno piacere, testimoniano comunque la volontà di una persona di chiamarti, di cercarti, molti infatti provano a chiamare e poi per vari motivi non si sentono pronti a parlare
- Accompagnare per un breve tratto di strada chi è solo, trasmettergli la tua vicinanza