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Il quotidiano francese “Le Parisienne” riporta che nella notte tra il 4 e il 5 febbraio una studentessa di 22 anni è stata violentata, sul treno Parigi-Melun, sotto gli occhi di numerosi testimoni che viaggiavano nello stesso scompartimento. Nessuno di loro ha fatto niente per aiutarla.
Chiunque legga una notizia del genere non può fare a meno di inorridire di fronte ad una simile forma di indifferenza e di chiedersi come sia possibile che siamo diventati così insensibili, così emotivamente anestetizzati nei confronti di ciò che ci accade intorno.
Si nota purtroppo, con una frequenza sempre maggiore, che numerosi episodi di cronaca nera e comportamenti violenti sembrano essere accompagnati da comportamenti apatici da parte dei testimoni, in ciò che pare essere un’estremizzazione dell’insensibilità spesso manifestata alla vista di un mendicante logoro per strada o nei confronti di qualcuno che soffre.
Questa apparente indifferenza di chi si trova ad assistere ad un atto di violenza o si trova davanti a una persona che sta male ed ha bisogno di aiuto, è tuttavia un comportamento tutt’altro che anomalo, che è stato ampiamente studiato nell’ambito della psicologia sociale.
Gli studi su questo tipo di comportamenti iniziarono a seguito del famoso caso di Kitty Genovese, una giovane newyorkese che nel 1964 fu aggredita e uccisa, mentre rientrava a casa. La ragazza fu pugnalata e violentata a più riprese, senza che nessuno dei numerosi testimoni (gli abitanti del quartiere, suoi vicini di casa) muovesse un dito per aiutarla, neppure chiamando la polizia. Questo atteggiamento, convenzionalmente definito “effetto spettatore”, fa parte di un processo comportamentale conosciuto come “ignoranza collettiva”, secondo il quale, quando un individuo si trova in un contesto che non riesce a comprendere o a cui non sa come reagire, osservando il comportamento degli altri individui intorno a lui prende lo spunto per agire: se gli altri non fanno nulla anche tale individuo avrà un ruolo di spettatore passivo.
Un altro fenomeno comunemente associato all’”effetto spettatore” è la “diffusione della responsabilità”, ovvero, se ci troviamo in presenza di una richiesta di aiuto, insieme ad altri, ci si sente meno responsabili nei confronti di chi è in difficoltà, proprio perché ci sono altre persone che insieme a noi stanno ricevendo la stessa richiesta. Anche in questo caso la persona coinvolta potrà facilmente trovarsi a vivere il ruolo di spettatore passivo, se nessuno degli altri si attiverà o risponderà alla richiesta.
Alcuni esperimenti condotti su questo tipo di situazioni hanno dimostrato che la risposta di una persona nei confronti di una richiesta di aiuto varia in relazione al numero di persone che insieme a lei ricevono la stessa richiesta di aiuto. Ovvero, se la persona è da sola è molto più probabile che intervenga, piuttosto che quando ci sono altre due, quattro o dieci persone.
Questi studi di psicologia sociale, e le relative conclusioni dimostrano quanto sia difficile parlare di “indifferenza” di fronte a certi tipi di comportamenti. Le caratteristiche delle singole circostanze influiscono infatti sul comportamento delle persone insieme alle motivazioni, agli scopi e alle capacità soggettive. E’ pertanto spiacevole ma necessario constatare che i convincimenti etico/morali rappresentano soltanto una tra molte motivazioni per i comportamenti umani.
Forse l’unica possibilità per dare più spazio ad azioni socialmente solidali sarebbe quella di acquisire maggiore consapevolezza di certi meccanismi comportamentali presenti in ciascuno di noi, migliorando, a livello collettivo, la capacità di riconoscere quelle “interferenze” esterne che ci impediscono di vedere una persona in difficoltà nella sua reale situazione e trovare quindi le giuste strategie per intervenire, non rimanendo vittime di inconsapevoli automatismi.